L’abitazione che accolse nel 1954 la comunità a Grandate era una grande villa posta su una collina. Ad est volge verso il paese e ad ovest è costruita a ridosso di un pendio scosceso che scende verso la pianura dove corrono la ferrovia e l’autostrada. Ad ovest, oltre le colline, si vede il massiccio del Monte Rosa; ad est dalla torretta dell’ala meridionale della casa, il Resegone, chiuso tra le alte montagne del lecchese.
La sua costruzione risale al 1703. Prima proprietaria fu la nobile famiglia Bardella, comasca. Pare (dato proveniente da tradizione) che la villa sia stata edificata sui resti di un’antica fortificazione innalzata dalla parte opposta al Baradello, a difesa della vallata che scende a Como.
La proprietà Bardella fu acquistata con rogito del 12 febbraio 1751 dal Marchese Don Francesco Canarisi, venditore il nobile Don Paolo Bardella e passò per testamento alla morte dell’ultimo marchese Luigi Canarisi, avvenuta alla fine del 1891, al nipote Conte Alfonso Panigadi. Ancora per successione, passò alla sorella di lui, Guglielma, l’ultima della famiglia Panigadi, nelle mani della quale la villa rimase di fatto fino al 1926.
Quindi passò per alienazione in tante mani e fu acquistata dalla famiglia Alberti nel 1931.
I mutamenti apportati dagli ultimi proprietari hanno cambiato profondamente lo stile di Settecento Lombardo, molto più severo e disadorno di quanto non appaia oggi la parte più antica dell'edificio.
(Le notizie fin qui riportate sui passaggi di proprietà della villa sono state gentilmente fornite dall’Avvocato Dott. Pierluigi Panigadi Trombetta, nipote della signora Guglielma Panigadi)
Mario Alberti (Trieste 1884/Como 1939) illustre economista, esperto in problemi monetari, ebbe dal Governo italiano importanti incarichi in campo internazionale; fu anche membro della Conferenza della Pace (Versailles 1919). Direttore del Credito Italiano, fondatore e primo Presidente della Banca d’Albania, fu docente di Politica Economica e Finanziaria all’Università Bocconi di Milano e poi all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Visse in questa casa con la famiglia fino alla morte, avvenuta nel 1939.
Si devono a lui la ristrutturazione della villa, l’ampliamento del parco, la bella biblioteca. Amante dell’arte, si circondò di quadri, bassorilievi, e soprattutto di statue (erano circa 200, quasi tutte ubicate nel giardino o nei viali). Molte di soggetto non proprio adatto ad un Monastero: personaggi mitologici, Budda, qualche santo, che fanno pensare ad un certo sincretismo religioso di moda anche ai nostri tempi.
Nel 1946 la villa fu acquistata dai signori Varini e intestata alla Società DAVAR. Ma come passò alle monache?
Qui entra in gioco Padre Luciano Caldiroli sj, che molta parte avrà nei fatti che andiamo a raccontare. Padre gesuita, fratello di Madre Alfonsa, monaca del Monastero di Ronco di Ghiffa poi trasferita a Piedimonte, già nel 1951, scrivendo dagli Stati Uniti dove preparava la tesi di laurea, dimostrava il suo interesse per il trasferimento.
Gli era stata indicata una villa, in quel di Grandate, che sembrava rispondere alle esigenze. Il 2 maggio 1954 Padre Caldiroli telefona al Vescovo di Novara Mons. Gilla Vincenzo Gremigni comunicandogli di avere individuato una possibile sede per il monastero e lo invita a prenderne visione. Mons. Vescovo avvisa Madre Celestina Binda, Priora del Monastero di Ghiffa. Detto fatto. A mezzogiorno di martedì 4 maggio Padre Caldiroli si reca a Ghiffa; preleva Madre Celestina, che si fa accompagnare da Madre Enrica Crespi e Madre Teresina Vismara, e fanno un primo sopralluogo.
L’impressione è molto buona; è una vasta proprietà, in collina, cintata, circondata da alcuni ettari di terreno, quasi tutto coltivato. L’edificio si compone di circa 25 locali, la cui disposizione si presenta idonea alla divisione tra foresteria e clausura. Nella villa esiste già una cappella, vi è una sala per incontri, la biblioteca e all’esterno ampi cortili. E’ a circa 4 Km da Como, vicino alla Ferrovia e all’autostrada dei Laghi. Il prezzo è di 20 milioni di lire, circa.
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